Via Posillipo 26/32 - Napoli

Relazione Storico-Artistica
La bellezza del litorale di Posillipo e il fascino dei suoi luoghi hanno fatto si che sin dall’epoca romana venisse prescelto dal patriziato per edificare le famose ”villae marittimae” che arrivarono poi a bordare tutto il litorale. Strabone ce ne testimonia la presenza in età Augustea (1) e ce lo conferma nel 1800 l’appassionato studioso di archeologia Robert T. Gunther (2).

Secoli di abbandono hanno distrutto gran parte di queste splendide testimonianze, vessate anche dagli agenti atmosferici, dagli eventi sismici e dalle successive stratificazioni.

In epoca medievale quasi tutto il territorio posillipino entrò a far parte delle grandi proprietà latifondiste del Clero che venivano gestite da chiese e monasteri e che, in virtù di concessioni antichissime, ebbero fino al 1750 perfino il possesso dei diritti di pesca sulla zona (Domenicane del Convento dei SS. Pietro e Sebastiano) (3).

Nel XV secolo il clero dovette cedere gran parte di queste vaste aree coltivabili agli aristocratici per scaricarsi del peso della loro manutenzione, in cambio di un censo annuo.

Riprese così il processo edificatorio che, preferendo ovviamente la costa, trasformò gli antichi siti in splendidi palazzi distruggendo spesso quello che era rimasto delle antiche vestigia.

L’obbligo a risiedere entro le mura imposto agli aristocratici dal Viceré Pedro de Toledo, determino il loro trasferirsi ed edificare nell’affollato centro cittadino (divenendo cosi più facile per il potere vicereale controllarli e sedare le eventuali rivolte) ma determinò anche il riappropriarsi di Posillipo, alla ricerca di un luogo ameno, ove trovare svago e riposo lontano dalla città.

Nasce cosi lungo la costa un nuovo susseguirsi di costruzioni dalla struttura massiccia e tozza, prettamente attrezzate per la difesa sia contro i marosi che contro gli attacchi dal mare (ancora terrificante era il ricordo delle incursioni turche). Le possiamo ammirare nelle cartografie seicentesche: Bulifon (incisione 1685), Baratta ”Veduta” (1629), Baratta ”Cavalcata”(1680), sono i palazzi dei Traetto, dei Nocera, dei Colubrano, dei Santacroce.

Luoghi privilegiati per godere degli spettacoli e delle feste a mare che si susseguono per tutto il ’600 allorchè tra terremoti (1609-1694), eruzioni, carestie e pestilenze, si dava sfogo all’immaginazione e si esorcizzava la paura con grandiose feste rimaste famose (4).

Durante le feste organizzate dal marchese del Carpio (1684), i palazzi di Posillipo splendevano per le migliaia di candele e di lumi ad olio producendo uno scenario maestoso (5). La morte del marchese del Carpio (1687), segno la fine delle feste a mare e, la fine del vicereale spagnolo, segnò quella delle dimore di Posillipo6. (6)

L’austerita della corte Viennese (che nel 1707 si era sostituita a quella Aragonese) ed il disprezzo dei suoi funzionari per le gite in mare li porto ad affittare le residenze estive a Barra e, successivamente, il trasferimento della Reggia a Portici (effettuato da Carlo di Borbone) porto gli aristocratici a costruire le proprie ville sulle falde del Vesuvio ove alcune grandi famiglie possedevano fondi rustici, determinando il definitivo abbandono di Posillipo.

I palazzi abbandonati divengono abitazioni di pescatori e contadini della collina e, solo nell’800, affermatasi la nuova nobiltà borghese e cosmopolita, vengono recuperati e trasformati nelle splendide ville attuali.

In questo panorama storico si inseriscono le vicende del complesso architettonico denominato ”Villa Pavoncelli”. Esso e situato nel tratto di costa che da Palazzo Donn’Anna si estende fino a Villa Grotta Marina. Non ha le caratteristiche della villa classica, mancano infatti gli elementi architettonici canonici: la scala e il portale. Questo perché non nasce con una struttura unitaria bensì dal successivo inglobamento di più fabbricati, alcuni di fattura più antica descritti dalle cartografie seicentesche e da testi successivi, altri aggiunti dopo il 1875.

Fabbricati più antichi sono identificabili grazie alla descrizione che ne dà Francesco Alvino: ”La casa del conte di Frisio, Brigadiere Celli, eminente sovrasta lo scoglio e d’amena vista guarda tutto il golfo. Sottoposta v’e la casa di Ajale, che sporge sul mare; ivi sono piccoli ma deliziosi giardini, che puoi vedere anche dalla strada. Alcuni loggiati ad essi aderenti poggiano su una casa diruta e cadente con una grotta. Prima tutto ciò apparteneva al nobil consultore Colajanni” (7).

Nella pianta del Baratta (1629) e nella successiva incisione (1680) viene descritto in questo sito un edificio denominato ”Casa del Castellano” (da non confondere con la casa di Giacomo Castellano posta oltre il capo di Posillipo) e ne e evidenziato il bel giardino pensile. E’ presente anche una rampa di scale che, scendendo dalla collina arriva fino al mare. Nel XVll sec. i terreni sui quali si svilupperà il complesso della villa appartengono a Santo Maria Cella, morto nel 1680, che rappresentava il granduca di Toscana a Napoli e che, divenuto per nozze duca di Frisa, (denominazione che si trasformerà poi in Frisio)(8), era entrato a far parte del gruppo dei grandi operatori finanziari del regno.

Il suo palazzo in città si trovava in vico Concezione degli Spagnoli (oggi via Paolo Emilio Imbriani), a ridosso di via Toledo ed era famoso per la sua quadreria (9)

I suoi beni posillipini risultano anche dalla Mappa del duca di Noja (1775) con la definizione di ”Casino di Frisa”. Su tali proprieta gravava un censo dovuto sin da epoca antichissima dai duchi di Frisio al Conservatorio di S. Maria dei Sette Dolori fuori Port’Alba precedente proprietario dei terreni.

Nel 1771 questi terreni passano in linea ereditaria a Francesco Cella con atto notarile nel quale vengono cosi descritti: ”...una parte della montagna di Posillipo che dalla cima scendeva fino al mare, luogo denominato Frisio, con casamento verso il mare, ed il relativo territorio sovrastante lungo il pendio della montagna” (10).

Questi beni appartengono alla famiglia Cella fino alla meta del XIX secolo. Nel 1854, morto Filippo Cella, ultimo dei duchi di Frisio, la proprieta passa al pronipote Nicola Porcinari e successivamente nel 1858, alla sua morte, gli eredi frazionano e vendono la vasta proprieta nella contrada di Posillipo.

Gran parte dei beni vengono acquistati dalla famiglia Pavoncelli che tanta importanza avrà per questo sito fino a tramandarne nei secoli il nome.

I Pavoncelli sono mercanti di origine pugliese, provenienti da Cerignola ove possiedono una grossa azienda agricola la ”Federico e Giuseppe Pavoncelli”. Il capostipite della famiglia è Federico Pavoncelli, che impianta e gestisce per primo l’azienda, ma il vero protagonista della storia di Posillipo e suo figlio Gaetano.

Questi, uomo di intelligenza non comune, riuscì ad acquisire nel corso degli anni varie parti del territorio edificando e poi vendendo i casamenti. Sul finire dell’800 i Pavoncelli, la cui residenza in città era in palazzo S. Teodoro nell’ambita Riviera di Chiaia, erano ormai titolari di una ditta bene affermata e, con l’acquisto dei contesi siti nobiliari di Posillipo, dove risiedevano nel periodo estivo, consolidarono anche il loro prestigio. Dopo aver acquisito l’antica casa del duca di Frisio, i Pavoncelli divennero proprietari di quasi tutto il territorio che era appartenuto alla famiglia Cella. Tra il 1875 e il 1912 Gaetano Pavoncelli ed il nipote, suo omonimo, avviano numerosi interventi edilizi nella zona a monte di via Posillipo, tra questi la Villa De Martino al civico n. 316 ed un edificio a 3 piani sul territorio seminativo alle spalle della Chiesa dell’Addolorata (unico lembo del territorio che i Cella non hanno venduto e che in quest’epoca e gia passato ai Gaetani di Laurenzana).

Nello stesso periodo il ”Casino di Frisia” e gli edifici verso il mare nella zona a valle della strada, vengono sapientemente unificati con successive stratificazioni fino a raggiungere l’attuale configurazione e sono utilizzati dalla famiglia come residenza estiva.

Il complesso architettonico presenta un organismo planimetricamente complesso con ampio giardino ed una grotta aperta su una spiaggetta visibile nell’ antica mappa del duca di Noja (1775).

I diversi volumi si sviluppano secondo un’andamento a terrazze, a quote diverse, sequendo il pendio della collina. Sulla strada l’edificio emerge con un solo piano fiancheggiato dal rigoglioso giardino con pini marittimi e palme, che si attesta su un terrazzamento posto a quota inferiore. La ricomposizione architettonica dei vari corpi di fabbrica preesistenti, la casa di Ajale, quella del Colajanni e la casa del duca di Frisio descritte da Alvino nel gia citato testo, è basata sul sistema dei camminamenti pedonali esterni che seguono gli antichi tracciati viari che collegavano le parti alte della collina col mare. Il tratto a monte dello stesso percorso corrisponde all’incirca all’attuale via del Parco Carelli.

Il sistema di camminamenti pedonali esterni che raccordano le costruzioni più moderne a quelle del casino settecentesco, costituisce l’elemento unificante del complesso e al tempo stesso uno degli aspetti più significativi anche dal punto di vista architettonico e paesistico.

Non a caso nell’incisione del 1845 di Achille Gigante, che correda il testo di Alvino, è riprodotto il tratto finale del camminamento a volta presente al centro dell’edificio, precedentemente aperto a rampa sul mare e attualmente inglobato tra le strutture. Numerose altre immagini a partire dalla fine del XVIII secolo, hanno come soggetto lo Scoglio di Frisio, noto per la presenza di un’antica osteria. Nella guache di Saverio della Gatta ”Napoli dallo scoglio di Frisio a Posillipo” del 1785 e rappresentata la grotta aperta sulla spiaggetta, popolata di festosi avventori. E’ visibile sullo sfondo parte della struttura architettonica con la copertura a terrazzo ombreggiata da colorati tendoni dalla quale era godibile uno splendido panorama. Lo stesso ambiente è rappresentato nei disegni di Consalvo Carelli del 1850dal titolo: ”Antichissima taverna del Pacchianiello” e ”Discesa allo Scoglio di Frisio”.

Questo locale fu teatro anche dei fatti che nel luglio dei 1862 diedero luogo al ”Processo criminale della Congiura di Frisia” che si concluse con severe condanne per Monsignor Cenatiempo ed altri, rei di cospirazione contro lo Stato. La casina di Frisia infatti era divenuta il luogo di complotto per la restaurazione del sovrano spodestato.

Dalla fine del XIX secolo fino al primo ventennio del secolo successivo il locale divenne un noto ristorante frequentato da personaggi di spicco quali Giosuè Carducci e Annie Vivanti (1891), Emile Zolà (1894), Ferdinando Russo, Salvatore di Giacomo e persino Gabriele D’Annunzio.

Intorno al 1975 gli eredi Pavoncelli hanno venduto la Villa. Nonostante gli interventi più recenti il complesso conserva inalterato tutto il suo valore storico e architettonico, i giardini, tuttora bellissimi, costituiscono una macchia di verde che e ormai parte integrale del panorama di Posillipo e che rafforza l’elevato valore paesistico ed ambientale riconosciuto sin dal 21.3.1923 dal decreto ministeriale emanato ai sensi della legge 20.06.1909, n. 364. Per quanto sopra si è ritenuto opportuno proporre l’imposizione del provvedimento di vincolo ai sensi della legge 1.6.1939, n. 1089.

Note
1 – J.D’Arms, “Romans in the Bay of Naples”, Cambridge, Mass. 1970 2 – Robert T: Gunther, “ A. Pausilipon, The Imperial Villa near Naples ..“ printed by Horace Hart, Oxford, 1913 3 – D. Viggiani, “I tempi di Posillipo”, Electa, Napoli, 1989 4 – Viggiani, opera citata 5 – Viggiani, op. cit. 6 – F: Alvino, “La Collina di Posillipo”, Associazione Napoletana Monumenti e paesaggio, 1963, pp. 80-81

 

Breve storia ufficiale dello Scoglio di Frisio

Ministero per i Beni Culturali e Ambientali

UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHEOLOGICI, ARCHITETTONICI, ARTISTICI E STORICI
IL DIRETTORE GENERALE
VISTA la legge 1 giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interessestorico-artistico;
VISTO il Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;
VISTA la nota prot. N. 9446 del 25.3.1996 con la quale la competente Soprintendenza ha proposto a questo Ministero l’emanazione di provvedimenti di tutela vincolistica ai sensi della citata legge 1089/1939 dell’immobile appresso descritto;
VISTO il parere espresso dall’Ispettore Centrale Tecnico con nota prot. N. 1240 in data 31.5.96
RITENUTO che la ”Villa Pavoncelli”, sita in provincia di Napoli, Comune di Napoli, via Posillipo 26, riportata nel N.C.E.U. alla sez. CHI, foglio 37, Part. 111, confinante con part. 450, 68, via Posillipo e il Mar Tirreno, come da unita planimetria catastale, ha interesse particolarmente importante ai sensi della citata legge, per i motivi contenuti nella relazione storico-artistica allegata

DECRETA
La Villa Pavoncelli, sita in Napoli, via Posillipo 26, cosi’ come indiduata nelle premesse e descritta nell’allegata planimetria catastale e relazione storico-artistica, è dichiarata di interesse particolarmente importante ai sensi della citata legge 1 giugno 1939 n. 1089 e viene, quindi, sottoposta a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa. La planimetria catastale e la relazione storico-artistica fanno parte integante del presente decreto che sarà notificato, in via amministrativa, ai destinatari individuati nelle relate di notifica ed al Comune di Napoli.

A cura del Soprintendente per i Beni Ambientali Architettonici di Napoli e Provincia esso verrà quindi trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari ed avrà efficacia anche nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo.

Avverso il presente decreto è ammessa proposizione di ricorso giurisdizionale avanti il Tribunale Amministrativo Regionale competente per territorio o, a scelta degli interessati, avanti il Tribunale Amministrativo del Lazio. secondo le modalità di cui alla legge 6.12.1971. n. 1034. ovvero è ammesso ricorso straordinario al Capo dello Stato, ai sensi del D.P.R. 24.11.1971, n. 1199, rispettivamente entro 60 e 120 giorni dalla data di avvenuta notificazione del presente atto.

Roma, 21 Sett, 1996

Il Direttore Generale Dr. Maria Serio